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Venezia fin dalla sua fondazione nel 420 d.c. ha rappresentato, nella zona dell'Alto Adriatico, il punto d'arrivo di tutti gli scambi marittimi con le coste orientali del Mediterraneo. Tra tutte le merci giunte dall'Oriente, il vetro godeva di un ruolo di rappresentanza. A riprova di ciò attraverso scavi effettuati per la bonifica di edifici storici, sono state repertate strutture abitative di epoca romana, per cui ufficialmente si pensava che la città di Venezia fosse sorta dai transfughi delle città romane per trovare scampo dai barbari.


Da ciò si può dedurre che l'arte veneziana del vetro provenga direttamente da quella romana dell'Alto Adriatico e, comunque, il vero e proprio sviluppo si ebbe nel Medioevo, dove l'arte e l'artigianato vennero ulteriormente valorizzati. I vetrai veneziani cominciarono a praticare quest'arte ereditando l'uso del vetro sodico dagli orientali. Tale composizione si adatta a lavorazioni a caldo e in questo si distinsero abilmente per il gusto estetico e l'uso di più colorazioni. La capacità estetica per i veneziani è fondata sull'intuizione che il vetro sia un materiale estremamente malleabile e quindi adatto ad essere soffiato e modellato allo stato incandescente, ma capace di mantenere le stesse caratteristiche cromatiche anche nel prodotto finito. Questo differisce dalla tradizione nordica, che sostiene che il vetro sia l'equivalente della pietra dura e quindi che l'abilità risieda nel valorizzare gli oggetti attraverso il taglio. I primi documenti che ci giungono sull'arte vetraria veneziana risalgono all'anno 982 d.C., anno in cui compare il nome di un artigiano vetraio a Venezia, quindi possiamo supporre che quest'arte, tuttora attiva, sia più che millenaria in tutto il mondo. Dopo il 982 si ebbe la conferma dell'esistenza di altri vetrai veneziani, ma nel XIII secolo il predominio risultò nettamente degli artigiani muranesi. Ciò fu dovuto al fatto che le vetrerie si concentrarono naturalmente nell'isola di Murano, tanto che nel 1291 lo Stato stabilì la distruzione di vetrerie costruite a Venezia deputandone a Murano l'origine storica, tanto è vero che al giorno d'oggi alcune dinastie vetrarie hanno prodotto la loro attività ininterrottamente.

Si ritiene che la vetreria ebbe origine a Murano nell'VIII secolo, con notevoli influenze asiatiche ed arabe, dal momento che Venezia era un importante porto commerciale. La fama di Murano come centro di lavorazione del vetro nacque quando la Repubblica di Venezia, per prevenire l'incendio degli edifici della città (all'epoca in gran parte costruiti in legno), ordinò ai vetrai di spostare le loro fonderie a Murano nel 1291 e le prime sorsero nel noto rio dei Vetrai.

Contrariamente agli altri paesi in cui le vetrerie sorgevano nelle sedi di produzione delle materie prime o del combustibile, Venezia e Murano hanno sempre importato tutti i materiali come il silicio vetrificante, la soda fondente ed altro, da luoghi lontani, compresa la legna, combustibile fino al secolo scorso, che arrivava dalle coste istriane e dalmate. La vera qualità dell'isola di Murano, però, era l'uomo con la sua esperienza, che nel tempo ha perfezionato gli stili, la qualità e l'abilità nel modellare il vetro incandescente. Questi artisti del vetro sono sempre stati contattati fin dal Rinascimento per portare nelle corti e nelle botteghe la loro abilità, tanto da diventare maestri. Infatti, per questa ragione, a Murano si attivò una scuola del vetro che avviava i giovani a questo mestiere anche se l'esperienza in vetreria restava unica. Nel Medioevo e nel Rinascimento il vetro di Murano era richiesto dalle classi sociali più elevate d'Europa a cominciare dall'invenzione del cristallo nel 1450 circa; infatti il cristallo è una qualità di vetro che si differenzia e che conferisce al vetro stesso delle caratteristiche peculiari dovute alla medesima base di silicio ma ad una percentuale maggiore di ossido di piombo (24%), per cui i prodotti creati risultavano particolarmente raffinati da soddisfare la richiesta di clienti estremamente facoltosi. Nel periodo barocco la ricerca si trasformò attraverso l'esecuzione di oggetti ad effetto quali i lattimi, ossia composizioni a base di silicati, stagno e piombo con aspetto bianco latte da cui l'etimologia, che si accostavano perfettamente ai mobili del Settecento veneziano anche nell'epoca decadente della Repubblica di Venezia. Dopo la fine della Repubblica di San Marco nel 1797 la rinascita dell'artigianato del vetro avvenne nella seconda metà del XIX secolo e le vetrerie che nacquero elaborarono tecniche ancor oggi in uso e che hanno dato luogo alla vetreria contemporanea e di design.

La categoria dei vetrai di Murano divenne ben presto quella più in vista nell'isola: infatti, dal XIV secolo i vetrai furono autorizzati a portare spade, godettero dell'immunità dai procedimenti giudiziari da parte dello Stato veneziano e alle loro figlie fu permesso di sposarsi con le più benestanti famiglie di Venezia. Tuttavia i vetrai non furono mai autorizzati a lasciare la Repubblica. Molti artigiani corsero il rischio a impiantare i forni di lavorazione nelle città circostanti o in paesi lontani come l'Inghilterra e i Paesi Bassi. Alla fine del XVI secolo, tremila persone sui settemila abitanti dell'isola di Murano erano coinvolti in qualche modo nel settore del vetro. Per diversi secoli, i vetrai di Murano mantennero un monopolio sulla qualità del vetro, sullo sviluppo o perfezionamento delle tecniche, tra cui quelle del vetro cristallino, del vetro smaltato, del vetro con fili d'oro (avventurina), del vetro multicolore (millefiori), del vetro-latte (lattimo) e delle pietre preziose imitate in vetro. Oggi, gli artigiani di Murano stanno ancora impiegando queste secolari tecniche, in ogni lavorazione: dall'arte contemporanea di vetro alle figurine di vetro di Murano, fino ai lampadari e tappi del vino. Oggi, Murano è sede di un vasto numero di fabbriche e di studi-laboratori di singoli artisti che creano ogni sorta di oggetti in vetro sia per la commercializzazione di massa sia per sculture originali.

Il Quattrocento
Inizialmente il vetro soffiato aveva scopo utilitaristico ed infatti se ne conserva poca documentazione, mentre nel 1400 a Venezia si cominciò a produrre l'oggetto in vetro anche con scopo puramente artistico-estetico. Nella seconda metà del XV secolo comparvero opere di pittori su vetro cristallino quali: Pietro de Zorzi Cortiner, Filippo de Catanei della Sirena, Valentino Ungaro, Zuane Maria Licini, Zuane Maria Leopardo ed altri i quali usarono smalti colorati fusibili. Questo vetro chiamato cristallino poiché estremamente puro, sembrerebbe essere stato creato da Angelo Barovier (1405-1460) discendente da una famosa dinastia di vetrai ancora operativa nell'isola di Murano. Riferendoci alla creazione del cristallo, il vetro cristallino che nasce trasparente e in seguito colorato, nel XV secolo, più spesso, veniva prodotto e lasciato incolore come il cristallo di rocca, quindi cristallo. Questo materiale trasparente male si sposava però con le decorazioni smalto opaco e spesso, quindi con il tempo le decorazioni divennero sempre più leggere ed eseguite a puntini smaltati o dorati, produzione che continua fino al primo quarto del XVI secolo.

Il Cinquecento
In questo secolo, oltre al cristallo decorato o al vetro bianco trasparente decorato con il lattimo utilizzato a filigrana (lunghe e sottili canne inserite nel vetro trasparente), si decorò il vetro con l'incisione a punta di diamante o pietra focaia, che graffiava la superficie del vetro con un disegno prestabilito, su invenzione di Vincenzo di Angelo Dal Gallo nel 1534 che fu usata dando l'immagine del cristallo come avvolto da un fine merletto. Altro tipo di lavorazione dell'epoca fu il "vetro ghiaccio", rugoso e scepolato all'esterno, lucido ma non trasparente. La decorazione avveniva applicando il colore a freddo sul rovescio degli oggetti ed utilizzando i soggetti dei dipinti di artisti come Raffaello o Primaticcio; a testimonianza il piatto con "Le due donne dormienti" che con molta probabilità fu eseguito da Marcantonio Raimondi rivisitando un dipinto di Raffaello. Verso la fine del secolo si diffusero i vetri decorati "a penne" usando il lattimo avvolto in fili "pettinati" a festoni con uno speciale attrezzo. Nella seconda metà del Cinquecento gli oggetti divennero più complessi ed articolati perché trattati con la lavorazione a pinza. Nel XVI secolo con la diffusione e la fama del vetro di Murano in tutta Europa i maestri vennero chiamati a lavorare in vetrerie estere soprattutto nei Paesi Bassi, in Germania, in Inghilterra e in Spagna. Tra le famiglie più note della seconda metà del XV secolo si annoverano: i Barovier, i Mozzetto, i Della Pigna e nel XVI secolo le dinastie dei Ballarin, dei De Catanei della Sirena, dei D'Angelo Dal Gallo, dei Bortolussi e dei Dragani.

Il Seicento
Nel Seicento non vennero prodotti oggetti particolarmente innovativi, ma poi il vetro si contraddistinse per la produzione di manufatti chiamati à la façon de Venise prodotti all'estero con artigiani locali o molto spesso da maestri vetrai muranesi espatriati. Questi, assecondando il gusto dei paesi ospitanti, enfatizzarono i motivi del decoro barocco comparsi nel secolo precedente anche sul vetro colorato, come ad esempio la decorazione dei gambi sui calici denominati "ad alette" . Purtroppo questo secolo rimarcò il grande esodo dei maestri muranesi che trovarono dimora nelle grandi città del Nord Europa più per la miseria dovuta alla rigidità delle leggi repubblicane che da obiettivi economici. Ed è infatti in questo periodo che l'arte del vetro cominciò a decadere pur avendo validi artisti, dando spazio all'affermazione del vetro boemo. Questo vetro, nato negli anni settanta-ottanta, più terso e pesante di quello veneziano, poteva essere lavorato con maggior facilità sia ad intaglio che ad incisione non più a graffio ma a rotella. Quindi, paradossalmente, alla fine del secolo a Venezia si imitavano le incisioni a rotella dai vetri boemi.

Il Settecento
Per tentare di uscire dalla grave crisi in cui si era imbattuta l'arte vetraria all'inizio del XVIII secolo, il muranese Giuseppe Briati avviò una produzione di vetro simile per composizione a quella dei vetri boemi, senza imitare le opere ma tentando di vincere la concorrenza. Per quanto riguarda i vetri incisi a rotella, tecnica anch'essa boema, seppur variandone la foggia, dovettero essere chiamati cristalli "all'uso di Boemia". Ciononostante, la produzione di Briati, approvata dal Consiglio dei Dieci del 1737, ebbe un enorme successo. Tra gli oggetti più noti si annoverano le "chiocche", lampadari a molti bracci decorati da festoni, fiori e foglie, i "deseri" centri tavola, gli specchi di cristallo colorato e il famoso "lattimo" che imitava la porcellana. A Murano il lattimo era opera soprattutto della famiglia Miotti e dei fratelli Bertolini, che nel 1739 avevano ottenuto dalla Repubblica di Venezia l'esclusiva di decorarlo in oro. Quest'epoca è anche quella della produzione di vetri mimetici come il "calcedonio", l'"avventurina" ed i vetri soffiati decorati a smalto a caldo. Maestri di tale tecnica furono Osvaldo Brussa e suo figlio Angelo Brussa, dei quali con i soggetti caratterizzati da fiori, frutta, animali, scene sacre e profane, giungiamo all'inizio del 1800. Non va dimenticato che il vetro trova applicazione pratica attraverso la creazione di oggetti d'uso domestico, quali le ampolle per l'olio e l'aceto, le lampade da tavolo alla fiorentina, i vassoi, i cestini, i centro tavola e come materiale decorativo d'arredo. Per quasi tutto il 1700 grande importanza godette lo specchio veneziano incorniciato da decori, smalti ed incisioni, che a volte comparvero sulla superficie. Successori di Briati furono Giacomo Giandolin, Lorenzo Rossetto e Zuane Gastaldello, Vittorio Mestre, la Compagnia di Cristalli Fini ad Uso di Boemia, Antonio Motta, Vincenzo Moretti e C.

L'Ottocento
Caduta la Repubblica di San Marco, nel 1797 cominciò per Venezia una crisi industriale e occupazionale, poiché nel 1806 i decreti napoleonici sancirono l'abolizione delle corporazioni artigianali, e quindi l'opera dei vetrai perse la tutela della Mariegola dell'Arte; in più le fornaci soffrirono la concorrenza della Boemia, Stiria e Carinzia, delle cui produzioni in vetro abbondavano i nostri mercati. Inoltre, l'imponente emigrazione dei vetrai, diffuse i segreti professionali mentre le materie prime importate e i prodotti esportati, subirono l'alto peso della tassazione. Una stasi si manifestò, quindi, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo, sia a livello tecnico che estetico, anche se si continuava molto rozzamente la tradizione dei vetri dipinti a smalto dei Brussa. La rinascita fu merito nel 1838 di Domenico Bussolin e di Pietro Bigaglia nel 1845, che ripresero a produrre vetro filigranato dai colori vivaci e dalla varietà di intrecci e alla produzione del'"avventurina" e di Lorenzo Radi coi "calcedoni". Successivamente, nella metà del secolo, i fratelli Toso fondarono la fornace omonima e nel 1859 Antonio Salviati creò il laboratorio collaborando con l'abate Vincenzo Zanetti alla Fondazione dell'Archivio e alla Scuola di disegno per vetrai, che diverrà Museo del Vetro. Scuola e Museo erano strettamente connessi poiché gli allievi diventavano maestri se abili a riprodurre fedelmente gli oggetti antichi. Dopo la guerra del 1866, con l'annessione del Veneto all'Italia, rinacque lo splendore dell'attività muranese. Infatti, nel 1866 Antonio Salviati riattivò la produzione e il commercio del vetro soffiato esportando soprattutto a Londra. In quest'epoca Vincenzo Moretti creò i "vetri murrini" della Compagnia di Venezia e Murano riproducendo i vetri a mosaico romani. Gli artigiani riproposero anche i vetri paleocristiani a foglia d'oro esposti all'Esposizione Universale di Parigi del 1878 e i vetri smaltati tra i quali la "Coppa Barovier", conservata al Museo, che ne costituisce l'opera prima; invece, nella tecnica che riproduceva le ceramiche di scavo, vi sono i vetri Corinti e Fenici prodotti dalla Compagnia di Venezia e Murano, da Salviatti e dai Fratelli Toso. Verso gli anni novanta in tutta Europa nascevano movimenti innovatori, ma a Murano si continuava a produrre vetro ottocentesco. Nel 1895, però, i Barovier, all'apertura della prima Biennale di Venezia, produssero calici leggerissimi con gambo a spirale di chiara foggia Art Nouveau.

Il Novecento
Il XX secolo comincia a Murano con nuovi processi di lavorazione del vetro di foggia moderna. Il primo innovatore fu Vittorio Toso Borella, che creò, intorno al 1909, due ciotole in vetro leggerissimo decorate con aironi e fiori acquatici a smalto trasparente. A Vittorio Zecchin, artista del gruppo secessionista di Cà Pesaro, si devono creazioni in vetro mosaico realizzate nella fornace dei Barovier ed esposte a Cà Pesaro nel 1913. Nel 1914 divenne famosa la lastrica "barbaro" disegnata dal pittore Teodoro Wolf Ferrari. Dopo l'interruzione dovuta alla Prima Guerra Mondiale, le fornaci ripresero la produzione adottando uno stile essenziale e funzionale. Subito dopo la guerra iniziarono le collaborazioni tra artisti e fornaci. Vittorio Zecchin stesso divenne direttore artistico della "Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini e C.", nata nel 1921 e specializzata nel recupero degli stili dei vetri cinquecenteschi, tratti dai dipinti rinascimentali, come ad esempio il "Calice Costolato" ed il "Vaso Veronese". Altri artisti come il pittore Guido Cadorin e lo scultore Napoleone Martinuzzi collaborarono con le aziende e quest'ultimo, nel 1925, alla separazione di Cappellin e Venini, divenne direttore artistico della "Nuova Vetri Soffiati Muranesi Venini e C." fino al 1932. Tra le sue opere, che denotavano l'esperienza di scultore, gli anatroccoli in vetro e filigrana del 1929 e un tipo di vetro opaco con bolle d'aria o "puleghe" inglobate, detto perciò "pulegoso", oggetti di spessore consistente come frutti, funghi e piante grasse decorate da nastri. Negli anni venti Umberto Bellotto si distinse perché accostò il vetro al ferro battuto e collaborò con la Pauly & c. e prima con Barovier, che era la vetreria artistica più attiva tra il 1920 e il 1930 e si avvaleva del tecnico e designer Ercole Barovier. Seconda per importanza era la S.A.L.I.R., nota per il vetro inciso e per la collaborazione dell'acquafortista Guido Balsamo Stella e dell'incisore boemo Franz Pelzel. All'inizio degli anni venti riaprì la Salviati con la collaborazione di Dino Martens e del pittore Mario De Luigi. Nel 1940 si cominciò a considerare come tradizione vetraria anche il vetro di grosso spessore e dagli anni trenta si datarono i vetri di Carlo Scarpa per Venini. Dopo la guerra, con la ripresa dell'attività, si distinsero Ercole Barovier e Giulio Radi per la AVEM, per l'uso di coloranti metallici, mentre Alfredo Barbini modellò a caldo una serie di sculture. Archimede Seguso, perseguendo le tecniche tradizionali, realizzò in filigrana preziosi tessuti. Dagli anni cinquanta la fornace di Paolo Venini, diretta dal 1959 dal genero Ludovico Diaz de Santillana, collaborò con designers di ogni nazionalità e i due figli di Ludovico, Alessandro e Laura, crearono con il vetro mosaico piatti di particolare bellezza. Tra i numerosi artisti che collaborarono ad evidenziare il marchio Salviati vi fu il pittore Luciano Gaspari. Parallelamente, ad una produzione di altissimo livello ma prevalentemente seriale, Nason e Moretti e Carlo Moretti, cominciarono a produrre soprattutto vetri da tavola. A Murano oggi il vetro è diventato espressione d'arte pura a cui gli artisti si dedicano servendosi delle fornaci ma senza vincoli di produzione seriale.